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Album

   
 

Enrico Carrino - lowlife (2015/autop.)
- Recensione -

Recensione
Amepantin & AV-K - pantin (2012/autop.)
Ame - the king of tramps (2010/autop.)
Ame - goodbye (2007/autop.)
Ame - burned flowers (2006/autop.)
 

 

 

Giulio Magliulo – Rockline (5/01/2013)

L’ultima volta che ho scritto di Ame ho concluso la recensione del suo King Of Tramps alludendo a quanto fosse difficile emergere di questi tempi, in Italia, se non si canta in italiano.
Ame Pantin,  mutazione cronenberghiana di quel progetto, canta in italiano, ma non bisogna farsi troppe illusioni su una svolta ‘commerciale’ del nostro, tutt’altro; se lo fa, non è per reazione a quello stato di cose ma semmai per amplificare o fors’anche esasperare un suo messaggio.
Enrico Carrino, avvalendosi delle pelli e dell’elettronica di Anacleto “K.Lone” Vitolo dà vita ad un’opera in apparenza molto lontana dallo psycho-folk del passato, pervasa com’è da suggestioni mutuate da altri  scenari e capace di una forza espressiva e comunicativa anche maggiore. L’inizio dell’album, Golem, ad esempio, è a dir poco ‘swansiano’ nella sua sintesi di industrial post apocalittico con tamburi marziali e scarna chitarra acustica neofolk prima e affondi post-core e code d’organo alla fine. Un’ambientazione oscura quindi, fatta di maree elettriche e voci robotiche che vanno ad infrangersi su scogliere di elettronica disturbante.
Se Enrico mi consente, definirei quest’opera ‘politica’ e non solo perché lui parla di ‘società malata’ e né io  intendo di ideologie. Alludo piuttosto alla complessità e alle stratificazioni, ai rimandi e alle citazioni più o meno dirette che più di una volta durante  l’ascolto mi han fatto pensare a quel periodo in cui anche in Italia attraverso il rock si faceva cultura o meglio contro-cultura. Penso alle avanguardie dei nostri  anni settanta che allora utilizzavano l’ormai lontano verbo del beat senza quelle paure tutte moderne dell’osare, del dire, del contaminare. Dell’autocensurarsi.  
Dietro il lamento di Pareti non si scorge forse la sagoma di un Demetrio Stratos o di altri dimenticati eroi di quell’era titanica in cui sui palchi dei festival della nostra penisola si scuotevano le coscienze? O almeno si provava a farlo, insomma.
Si dirà che quel cantato un po’ visionario e folle, buckleyano come lo definii allora, Ame lo ha sempre avuto, ma ora egli aggiunge persino dei ‘recitati’ che più che a Ferretti o a Clementi rimandano proprio alla teatralità e ai girotondi di certo progressive impegnato.

Anche i brani più convenzionali per suono e struttura come l’irruenta cavalcata punk di Clandestino o l’acustica Puntini (con dei lirici cori di sfondo che neanche nei più angoscianti album di folk apocalittico) hanno quel retrogusto di verità e forse perfino qualche ingenuità a livello di testi che non può che fare bene all’arte e alla musica in genere.        Perché ribadisce che i veri artisti per essere intellettualmente onesti nonché  intensi nei risultati devono sentirsi liberi di fare il cazzo che vogliono ed Enrico Carrino, Ame, AmePantin o come diavolo vorrà chiamarsi domani, questo concetto lo ha ben chiaro, sia che si esprimerà  nel suo alt-folk solitario, sia che continuerà questa promettente partnership con K-Lone che - ascolto dopo ascolto -  prende forma e dissipa quella foschia iniziale in cui sembra perdere direzione.

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onda rock di Antonio Ciarletta (24/01/2013)

Avvistato su OndaRock il 2006 e il 2007 con due interessanti uscite autoprodotte (“Burned Flowers” e “Goodbye”), Enrico Carrino era scomparso dai radar di chi vi scrive. Di acqua sotto i ponti ne è passata un bel po’, cambiamenti che prima necessitavano di ere geologiche si sono succeduti in una manciata di mesi, il circuito indie è stato invaso da nuovi dioscuri (si fa per dire…) e anche  il buon Carrino ha cambiato pelle.

E non mi riferisco esclusivamente al moniker, piuttosto alla musica. Mentre i due lavori precedenti erano votati a un folk minimale e in bassa fedeltà, qui con il supporto di Anacleto Vitolo (batteria, electronics) Carrino mette in scena un grand guignol di massimalismo (post) rock in piena regola. Chitarre sferraglianti in sulfurea eruzione sono al servizio di cavalcate epiche, che ricordano dei Mogwai dotati della compostezza degli ultimi Godspeed You! Black Emperor.

E laddove il suono si fa più meditativo, emerge un lirismo sofferente - menzione speciale per l’acustica “Puntini”, tre minuti e mezzo d’anima stracciata. Insomma, un disco di fuoco, passioni e metallo urlante, certamente un incoraggiante ritorno.

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Impatto Sonoro di Enrico Ivaldi (13/02/2013)

Questo è il classico disco che sbuca fuori dal nulla e crea dipendenza al primo ascolto, soprattutto per chi come me ha un debole per certi suoni.
Ma andiamo per ordine.
Ame Pantin è il nuovo progetto di Enrico Carrino (già conosciuto con il progetto psych-folk “Amê”) aiutato in questa sede da Anacleto “K.Lone” Vitolo alle prese con elettronica, effetti e percussioni.
“Golem” è un disco allucinato e allucinante, estremamente personale, che prende a piene mani da tutto ciò che di più bello la scena alternativa italiana ha saputo regalarci, senza mai perdere di vista le avanguardie straniere.
È grazie a questo che sullo stesso piano riescono a convivere brani “Swansiani” in salsa acida come la marziale “Golem” o la conclusiva “Pantin” con i deliri acustici di “Puntini” e “Blu” che ricordano (almeno vocalmente) certi Afterhours.
La lunga “Automa Meccanico” fonde l’irruenza industriale dei CCCP a una struttura quasi post-rock mentre le atmosfere si fanno soffocanti nei fuzz estremi di “Equilibrista” e nella successiva “Pareti” con il suo finale noise, lento e corrosivo.
L’estrema stratificazione dei suoni rende ogni brano un piccolo caleidoscopio di colori, merito anche di una produzione all’altezza ed estremamente efficace nelle dinamiche.
Completa il lavoro la ghost track, che rappresenta il momento più estremo ed inquietante (tanto da rasentare l’industrial vero e proprio) di cui però non vi anticipo nulla.
Il mio consiglio è quello di provare ad addentrarvi negli psichedelici meandri di questo progetto italiano, non sia mai che una volta dentro ne rimarrete intrappolati.
Una delle più belle sorprese italiane degli ultimi tempi.

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Debaser di VICIO (15/05/2013)

Amepantin. Siamo tutti marionette?

Dopo aver pubblicato "Burned Flowers" (2006), "Goodbye" (2007) e "The King Of Tramps" (2009), Enrico Carrino, in arte Ame, con la nuova collaborazione di Anacleto "K.Lone" Vitolo, torna con un nuovo progetto musicale.
Già dalla scelta del loro nome, Amepantin, si vede un chiaro richiamo alle marionette  e a quel senso di alienazione che caratterizza la staticità della vita umana. Un richiamo che, si vedrà, si ritrova in tutto l'album.
"Pantin", si caratterizza soprattutto per un suono sporco, ottenuto grazie alla manipolazione sonora di Anacleto (batteria) e  per i testi, per la prima in italiano, di Carrino alle chitarre. 
Il concept album si apre così con la strumentale "Golem" che dall'ebraico vuol dire "massa amorfa" o "ancora priva di forma", perché non infusa di anima, ma che in una versione odierna, sta ad indicare anche un robot o un gigante antropomorfo che esegue gli ordini del suo creatore, di cui diventa una specie di schiavo.
Tutto il loro album gioca infatti sulla straordinaria forza omologanizzante della società umana e anche il ritmo militaresco della prima traccia indirizza il disco verso quel vuoto umano generato da chi ci vuole ogni giorno l'uno uguale all'altro o all'altro ancora. La tv, la pubblicità, le modelle, i prodotti sugli scaffali dei supermercati. I riferimenti possono essere infiniti, ma il significato ultimo della stereotipizzazione è rintracciabile in tutto il loro lavoro.
Tra le altre tracce c'è "L'Equilibrista", brano industrial dal sound molto vicino a quello dei Nine Inch Nails e il feroce "Clandestino" dal ritmo trascinante.
"Puntini" è invece un brano acustico che col suo "dimmi cosa realmente possiedi", mandato a ripetizione, fa riflettere sull'effimero valore delle cose nella società usa getta. All'interno del brano troviamo un omaggio a Luciano Pavarotti, con un piccolo estratto del classico "Nessun Dorma".
Il fulcro del disco è comunque "Automa Meccanico", bell'affresco della società postmoderna, dove la voce narrante di Paolo Langella, osservando il grigiore del mondo esterno, ci conduce in un viaggio interiore e ci porta a volere essere aria.
In ultimo, troviamo "Santiago" che sembrerebbe cantata da Cristiano Godano dei Marlene Kunts e "Pantin", brano strumentale che conclude l'album.
Listen to:
I: Automa Meccanico
II: Clandestino
III: Puntini
For me
In cuffia, il rumore sonoro del gruppo mi è piaciuto, anche se è stata proprio la mia compagna a farmele mettere per ascoltare il cd! De gustibus...
Forse il mio passato "darkettone" non le è mai andato a genio ma chissà se ascoltando "Puntini" non si possa ricredere. Vedremo.
Per me, comunque, il gusto di ascoltare musica emergente è unico. Provoca un'emozione che non ti può dare sempre un cd in vetta alle classifiche. Come barattare un cd con un conoscente lontano o ascoltare musica sulla poltrona di casa tua. Puoi gustartela, come si gusta qualcosa che senti vicino a te. Anche se in questo caso, per la mia compagna, rimarrà sempre rumore!

DeBaser, Ieri dopo mezzanotte.


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Federica Hosley di Ocanera Rock (25/07/2016)

Dietro il progetto di AmePantin si cela la figura di Enrico Carrino, che abbandona il nome d’arte di Amê e che qui si avvale della collaborazione di Anacleto Vitolo.
Pantin‘ è il quarto disco del suo percorso (i primi tre firmati Amê) e viene presentato come un lavoro dalla struttura industrial ed elettronica.

Ascoltando le nove tracce dell’album, però, resto basita e Carrino con questo suo lavoro riesce a farmi riflettere come non mai: non sono in grado di decidere se dare retta alla mia parte razionale o se è il caso di affidarsi all’istinto, all’emozione.
Non vogliatemene, vi spiegherò entrambi i miei punti di vista.

Partiamo da ciò che non mi convince: la componente vocale.
Il timbro è troppo delicato e stonano i virtuosismi (ipnotici) che si ergono verso l’alto.
Mi piace quando struttura sonora e liriche, nonché il cantato, riescono ad essere in perfetta armonia tra loro, e tale armonia la si raggiunge ragionando in modo pragmatico.
Che Enrico non me ne voglia, ma una voce come la sua, in un simile progetto, non ha nulla a che vedere.
In parte la sensazione è la medesima riguardo ai testi: soffocati, non vengono valorizzati come invece meriterebbero, perché anche se piuttosto ermetiche, le liriche di AmePantin sono efficaci e taglienti.

Tralasciando la quinta traccia senza nome (…), il disco presenta sonorità interessanti.
Si percepisce un lavoro di ricerca minuzioso, mirato alla fusione sonora che sfocia in un trionfo di chitarre e synth.
‘Golem’ e ‘Clandestino’ sono le due brani che consiglio vivamente d’ascoltare: l’esempio musicale più alto che emerge da questo nuovo lavoro targato AmePantin.

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Son Of marketing di Mario Esposito (18/2/2013)

AmePantin nasce come evoluzione di Amê, progetto folk sperimentale di Enrico Carrino, cantautore che negli anni scorsi aveva dato alla luce due lavori, Burned flowers e Goodbye, di prevalente matrice lo-fi e incentrati sul binomio voce-chitarra tipico del folk più intimista. Avvalendosi della collaborazione di Anacleto Vitolo (già K.Lone e Kletus Kaseday), Carrino mette oggi da parte il minimalismo degli esordi per aprirsi a sonorità incattivite, sporche e graffianti che confluiscono in Pantin, un concentrato di furia musicale capace di spaziare dall’industrial al post-rock senza necessariamente legarsi ad un genere piuttosto che ad un altro.
La nuova anima di Carrino si presenta all’ascoltatore gonfia di un desiderio espressivo particolarmente feroce, evidenziato dal passaggio alla lingua italiana che meglio sembra adattarsi all’aggressività e alla durezza del suo messaggio.
Idealmente sospeso per l’intero disco tra la rabbia dei Nine Inch Nails e l’irruenza di un avvelenato Manuel Agnelli, AmePantin apre il suo grido di dolore con la strumentale “Golem”, brano carico e feroce in cui le chitarre distorte e una batteria potente si rincorrono in un vortice sonoro senza freni.
La stessa atmosfera rumorosa e travolgente si respira in “Equilibrista” e “Clandestino”, con in più l’ingresso in scena della voce impetuosa di Carrino, ben collocata con la sua forza espressiva nel corposo impianto sonoro di base, o in “Pareti”, brano che pur rallentando i ritmi mantiene la barra dritta sulla scia di quanto finora ascoltato.
Puntini” e “Blu” riportano alla luce la natura lo-fi temporaneamente sopita, la prima con una digressione in cui AmePantin affida alla sola chitarra acustica il canto di un’anima dilaniata, la seconda con un più articolato utilizzo di un’effettistica acida.
Il desiderio di sperimentare si fa ancora più vivo, però, nelle battute finali dell’album, con il recitato attacco alla società di “Automa meccanico”, che si trasforma battuta dopo battuta in un vero e proprio grido furente, il songwriting psichedelico e visionario di “Santiago” e gli oltre sei rumorosi minuti di “Pantin”, ultimo passaggio strumentale che chiude il cerchio con quella che era stata la traccia introduttiva.

Album per certi versi non immediato, Pantin è senza dubbio uno di quei lavori capaci di crescere con l’ascolto e di penetrare sotto pelle con forza, guidato da quella visceralità di fondo che non si china mai alla moda del momento. Un’interessante svolta cantautoriale per Enrico Carrino che, ben alimentata, potrebbe aprire a scenari decisamente intriganti.

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enrico carrino @ 2016